Alessandro Maranesi
Artista
20 luglio 2019
Apro gli occhi, guardo l’orologio: “mi sveglio sempre troppo presto, voglio dormire ancora un pò!”. Non ci riesco e stordito rimango disteso per un po’ cercando di riordinare l’uragano di pensieri da cui vengo travolto, ed è subito “No more going to the dark side with your flying saucer eyes”, ”Thom!!! Che meraviglia di concerto”, penso mentre “Atom for peace” che mi risuona in testa.
“Basta andare nel lato oscuro
Con i tuoi occhi spalancati
Basta cadere in un buco nero
Che poi devo tirarti fuori
Il verme contorto che c’è dentro
Ti divora dall’interno”
Effettivamente rischio di farmi inghiottire dal lato oscuro della malinconia, quella tipica del dopo sbronza, in questo caso del dopo concerto. Ma negli occhi e nelle orecchie è rimasto indelebile tutto lo splendore di cui ho avuto la fortuna di godere. Così decido di seguire il consiglio di Thom, che nella canzone continua dicendo
“Basta parlare dei vecchi tempi
E’ ora di fare qualcosa di bello”
Mi alzo accompagnato da un’ondata di immagini flash che mi passano davanti mentre comincio a canticchiare “Looked in your eye, in your eye”.
Eh già, questa volta l’ho davvero guardato negli occhi. Era di fronte a me, anzi lo è ancora. I ricordi sono ancora vivi. Arrivano con immagini flash, senza nessuna logica, direttamente dalla pancia.
Il telefono, croce e delizia di questa generazione, può aiutarmi a rimettere ogni cosa al suo posto.
Preparo su spotify la playlist seguendo la scaletta del concerto (per chi volesse si chiama “Thom Yorke – Umbria jazz”) e comincio avidamente a sfogliare le foto: ognuna di esse è un tuffo al cuore.
Così cerco di ripercorrere tutti i passaggi principali di questa giornata entrata di diritto nel club delle pagine più belle della mia vita, questo grazie soprattutto alle persone con le quali l’ho condivisa.
La partenza per me, Cristina ed Erika è stata, come previsto, alle 14.30. Alle 16 circa eravamo all’Arena Santa Giuliana di Perugia dove già ci aspettava Francesco davanti al cancello dell’ingresso B (quello più vicino al palco).
Qui una ragazza si è presa subito la responsabilità di organizzare la fila scrivendoci i numeri sul dorso della mano: il mio era un ormai sbiadito 27.
Questo ci ha permesso di fare qualche giro senza perdere il posto, in attesa dell’apertura della biglietteria, alle 17, e dei cancelli alle 19.30. Il tempo è volato via velocemente tra chiacchiere varie e il toto-scaletta: oltre a quelle più o meno sicure, già suonate nelle precedenti date, io sognavo “Spectre” (fatta a Milano lo scorso anno), Francesco “Suspirium” (la più probabile), Cristina “Rabbit in your headline”(magari!!! Non credo sia stata mai fatta in un concerto), mentre Erika si è astenuta. Fortuna che non abbiamo scommesso! Infatti i nostri desideri non sono stati realizzati, ma lo spettacolo straordinario a cui abbiamo assistito ci ha ampiamente ripagato.
All’apertura dei cancelli la squadra si è divisa, mentre Cristina ed Erika hanno preferito starsene dietro sedute sulle gradinate, io e Francesco ci siamo sistemati nella prima fila.
Alle 21.00 il sipario si è aperto e si sono presentati, se non ricordo male, l’organizzatore di Umbria Jazz, un rappresentante di Greenpeace ed un prete che ci hanno ricordato come tutta l’organizzazione sia sensibile ai problemi ambientali e stia lavorando per far si che nel giro di 10 anni si possa finalmente cambiare direzione verso energie rinnovabili e non inquinanti. Un messaggio importante.
Alle 21.15 Andrea Belfi, artista italiano trapiantato a Berlino, che accompagnerà Yorke & C., in tutto il tour europeo (che invidia!!!), ha aperto il concerto. Il suo set era composto da una batteria acustica, campionatore e synth (sono un po’ approssimativo, ma è quello che sono riuscito a vedere).
Musica sicuramente interessante, ma per noi delle prime file è stata devastante: ogni colpo di cassa era uno scuotimento che partiva dalla punta dei piedi ed andava a stringere la gola, creando un senso di soffocamento; ad un certo punto credevo mi scoppiassero le coronarie. Peccato, il suo set mi incuriosiva, spero di poterlo rivedere in condizioni migliori. Intanto me lo sto riascoltando su spotify e confermo le buone sensazioni. Tanto è stato il disagio che mi ha scaturito quelle basse frequenze che per un attimo mi è sfiorata l’idea di andare indietro, dove sicuramente ci sarebbe stato un ascolto migliore, ma la visuale era talmente perfetta che ho tenuto duro e sono rimasto. In caso mi sarei mosso dopo.
Alle 10 finalmente, Thom Yorke, Nigel Goldrich e il visual artist Tarik Barri, accompagnati dalle grida entusiastiche del pubblico, sono entrati sul palco.
La prima canzone è “Interference”. Non faccio in tempo a preoccuparmi dei bassi, assolutamente perfetti, che mi ritrovo gli occhi gonfi di lacrime. Con il nodo in gola provo ad unirmi alla magica voce di Thom proprio quando dice che non ho il diritto di interferire. Io non l’ascolto e canto con trasporto insieme a lui
“But I don’t have the right
To interfere, to interfere”
L’impatto visivo e sonoro è travolgente e struggente allo stesso momento: sulle dolci e ammalianti note della canzone lo schermo, diventato blu notte, viene squarciato al centro da un raggio di luce, che pian piano si distende in verticale trasformandosi in una lingua di fuoco che poi si dilata, cambia colore fino a riempire tutto lo sfondo che ora sembra un grande arcobaleno. Poi si assottiglia per tornare ad essere una linea rossa che divide in due lo schermo rimpicciolendosi fino a sparire e lasciare di nuovo un blu intenso: sono ipnotizzato.
Il concerto prosegue con brani più spinti diventando sempre più appassionante, accompagnati da movimenti fluidi di grafiche, a tratti pittoriche, a tratti psichedeliche, che sono una goduria per gli occhi: provare a descriverle non farebbe altro che sminuirne tutto il loro splendore (lascio questa incombenza alle foto).
“Harrowdown hill” scuote, fa cantare e ballare, mi guardo intorno e vedo la gente in viaggio, rapita. In alcuni momenti i bassi creano le stesse vibrazioni poco piacevoli della grancassa di Belfi; medito di fare qualche passo indietro, ma non ci riesco, non riesco a fare niente, voglio solo godere di ciò che mi trovo davanti.
Il trittico “The clock”, “Has handed” e “Amok”, mi fa letteralmente sognare.
“To run amok, run amok, run amok”
Thom è ispiratissimo, in-canta si muove e cerca la nostra complicità e partecipazione. Ha bisogno di noi e noi ci siamo. Più di una volta ho la sensazione che i nostri sguardi si incrocino facendomi trasalire.
Si prosegue con i brani di “Anima”, dove “Not the news” mi porta subito alla mente il bellissimo cortometraggio, (che consiglio a tutti di vedere al più presto) seguito da “Truth ray” che stimola il sacco lacrimale, così come accade dopo un po’ con “Dawn Chorus”, il primo di quattro bis dopo che il concerto finisce con “Twist”. La grafica è sempre meravigliosa e suggestiva, mi aspetto da un momento all’altro che Thom entri dentro lo schermo diventando tutt’uno con esso.
Due ore vengono spazzate via in un lampo: “Atom for peace” chiude uno spettacolo stra-ordinario e unico nel suo genere; Thom, Nigel e Tarik salutano un pubblico in estasi e tornano nel loro pianeta. Non ci voglio credere, mi aspetto un’altra uscita, da solo, come fa spesso, a regalarci l’ultima emozione. Ma è davvero finita.
Adesso mi rimane tanta bellezza, ispirazione, voglia di suonare e… un desiderio spasmodico di Radiohead.